Pensavano che le battaglie fossero ormai finite. Le porte di quella grande città – si immaginavano – sarebbero state loro aperte, il popolo sarebbe venuto incontro portando focacce e vasi pieni di miele. Delle brave e buone bestie come loro! Perché gli uomini non avrebbero dovuto fare amicizia?
Un racconto per bambini del ’45 cosa potrà mai avere di interessante? Fidatevi, c’è tanto di cui parlare. In questi giorni, rileggendo per l’ennesima volta La famosa invasione degli orsi in Sicilia, racconto apparentemente per ragazzini scritto da Dino Buzzati nel 1945, mi sono tornate in mente le parole di Calvino sui classici, evidentemente abusate, ma che in questo caso calzano a pennello: “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.
Prima però di spiegarvi meglio quello che intendo, credo sia doveroso spendere due parole sull’autore che, pur rappresentando un punto fermo nella letteratura italiana del secondo Novecento, viene spesso trascurato in favore di nomi più noti. Buzzati nasce vicino a Belluno nel 1906 e, pur vivendo poi la maggior parte del tempo a Milano, rimarrà sempre legato alle montagne, che spesso anche nei suoi scritti rappresentano un luogo sia di solitudine sia di pace, tranquillità e purezza.
Sin da giovane collabora con il Corriere della Sera, arrivando poi a divenire redattore. Si occupa dei più svariati argomenti, soprattutto cronaca e musica. Questo suo costante contatto con la realtà fa sì che questa possa poi venire trasformata nei suoi romanzi e nei suoi racconti, che spesso si portano dietro un’aura surreale ma che trattano di temi estremamente vicini all’uomo: l’attesa di un’occasione, l’angoscia, il mistero, l’illusione dettata da un destino spesso irridente, la paura della morte (tutti molto ben esemplificati nel suo romanzo più famoso, Il deserto dei Tartari)
Tornando a La famosa invasione degli orsi in Sicilia, possiamo affermare che è un ottimo esempio di come diversi livelli di lettura possano essere condensati in un racconto piacevole, scorrevole e adatto anche ai bambini. La trama è abbastanza lineare ma intervallata da alcuni colpi di scena. Leonzio è il re degli orsi che vivono sulle montagne della Sicilia, nelle caverne. Un inverno più freddo del solito li lascia però senza cibo e li spinge verso le città degli uomini a valle, dove il re spera anche di poter ritrovare il figlio Tonio, rapito da due spietati cacciatori.
Dopo un rocambolesco viaggio, che vede la morte anche di numerosi orsi, e un altrettanto rocambolesco assedio alla città, gli orsi riescono ad impadronirsene, e Leonzio si ricongiunge con Tonio. Proprio quando le cose sembrano andare per il meglio e gli uomini si avviano ad una pacifica convivenza con gli orsi, questi iniziano a prendere i vizi dei primi: si ubriacano, giocano d’azzardo, diventano superbi e arroganti. Solo la morte di Leonzio ad opera di uno dei suoi orsi più fedeli riporterà le cose allo status quo: prima di spirare il re chiede infatti al figlio di ricondurre gli orsi alle montagne, abbandonando così la vita corrotta della città.
Buzzati narra la vicenda in una prosa vivacizzata da alcune parti in versi e dalle illustrazioni eseguite da lui stesso. Se collochiamo il racconto nel suo contesto storico, ovvero il 1945, esso diventa una quasi ovvia metafora della lotta partigiana contro i regimi totalitari. Il granduca, che governava la città prima di Leonzio, è rappresentato come un tiranno. Gli orsi, provenienti dalle montagne, sembrano invece l’incarnazione dei partigiani: pochi mezzi ma grande dedizione alla causa.
Al di là di questa lettura quasi scontata e forse troppo legata al momento storico, possiamo individuarne un’altra forse anche più fedele agli ideali dell’autore. Gli orsi, provenienti da una vita dura ma semplice e onesta, si ritrovano corrotti al contatto con la città, con i costumi metropolitani. Buzzati sembra quasi profetizzare il destino degli italiani, così ben descritto qualche decennio dopo da Pasolini (ad esempio in Scritti corsari): da una civiltà contadina pre-seconda guerra mondiale si è passati ad una civiltà prima industriale e poi post industriale. Il passaggio non è stato però indolore, si sono smarriti dei valori, dei quali sia Buzzati sia Pasolini sono nostalgici, e ne sono stati acquisiti altri, più legati al denaro e all’etica egoistica borghese.
Infine, forse per le recenti vicende di cronaca, soprattutto la prima parte del libro, mi hanno ricordato le storie dei migranti. Il desiderio di una vita migliore e di ritrovare un familiare sono molle che spingono gli orsi nel libro quanto gli immigrati nella realtà. Il loro viaggio, pieno di insidie ma anche di speranza, costellato di morti e di sofferenze ma anche di atti eroici e di aiuti insperati mi ha ricordato quelli di cui sentiamo e leggiamo tutti i giorni.
Se non l’avete ancora letto, o se l’avete letto al massimo a dodici anni, vi consiglio di (ri)leggerlo: La famosa invasione degli orsi in Sicilia saprà sicuramente lasciarvi qualcosa!